Gioco di ruolo, anno uno

Nel 1996, ottenuto il diploma di maturità, decisi di frequentare l'Accademia di Belle Arti.
Mi trasferii quindi a Macerata, iniziai il cammino dello studente universitario, esperienza che cambiò per sempre la mia vita.

Trovai nuovi compagni, amici con cui ancora sono in contatto, e ricordo molto bene come si parlò del giocare di ruolo. Ne fui sbalordito: ero abituato a vedere considerato il gioco di ruolo come qualcosa di strano e quasi innominabile, che sentirne altre persone giocarci con l'abitudine di chi prende il caffè al mattino mi spiazzó.

Fu così che, concluse le lezioni mattutine, nei pomeriggi liberi di autunno ci radunavamo negli appartamenti per delle emozionanti sessioni di avventure fantasy.

Ad essere onesti, non furono quelle le mie prime partite.
Avevo avuto delle occasioni, almeno un anno o due prima. Però erano giocate in maniera molto fredda e didascalica, in cui veniva data molta importanza al lancio del dado, e quindi al valore numerico delle conseguenze delle azioni. Si assisteva a scambi di battute tipo questo:

Master: "Arriva un coboldo che sta per colpirti: lui ha 3 di iniziativa, tu?"
Giocatore: "Io ho 5. Quindi posso colpire per primo! Lo colpisco con la mia mazza che da fa due dadi da 6 di danno.... Ho fatto 12!"
Master: "Ottimo, gli togli 12 punti ferita!"
Giocatore: "Evvai!!!"

Insomma sembrava una sorta di gioco da tavolo senza tabellone, e per quanto divertenti, non furono per me delle esperienze particolarmente significative.

Per questo, nel 1996, giocai quelle che oggi considero le mie VERE partite ad un gioco di ruolo: sessioni fatte di interpretazione, dialoghi, voglia prima di tutto di calarsi in un personaggio e vivere un'avventura immaginaria.

Master: "Arriva un coboldo: lo vedi arrivare non da molto lontano, quindi riesci a prevedere il suo fendente" (il Master ha ottenuto un 3 di iniziativa su un dado da 6 facce)
Giocatore: (ottiene un 5 di iniziativa) "Ho tutto il tempo di scartare di lato ed evitare il suo colpo. Mi punto con i piedi terra e sollevo la mia mazza con entrambe le mani e lo colpisco con tutta la forza che ho!" (fa un 12 di danno)
Master: "Il coboldo ha mancato il fendente, pertanto si è sbilanciato molto di lato. Con la tua mazza lo colpisci sul fianco, senti il rumore sordo delle costole che si rompono. Cade a terra, emette qualche grugnito di dolore, ma, benché ferito e dolorante, è ANCORA VIVO e cerca di rialzarsi. Stavolta è davvero arrabbiato!".
Giocatore: "...cacchio!"

Grande merito lo ebbe il nostro master dell'epoca, che insisteva moltissimo su questo aspetto al punto da rimproverarci se non seguivamo lo spirito da lui voluto.
Quando si eseguiva il test di riuscita di un azione, non ci si limitava a comunicare il risultato numerico del dado. L'azione veniva descritta, ed il margine di riuscita era un occasione per descrivere un successo (o un fallimento) più o meno ampio.
Ebbe anche l'idea di darci dei punti esperienza sulla base della nostra partecipazione, l'interpretazione e coerenza del nostro personaggio.
Non era facile, soprattutto per chi non aveva doti teatrali (tipo me), ma il risultato ottenuto fu strepitoso.

La prima vera campagna non me la dimenticherò mai: usammo come sistema GURPS, che aveva la caratteristica di poter avere dei punti addizionali se decidevamo attribuirci dei particolari difetti o menomazioni (il mio personaggio era un rozzo guerriero senza un occhio e senza una mano) e ci cimentammo in una avventura ambientata in un mondo fantasy classico, sulla falsariga di Dungeon & Dragons.

In quel periodo inoltre, siccome eravamo tutti molto presi da I Cavalieri dello Zodiaco, il nostro buon master decise di creare un minisistema per un gioco di ruolo dei santi di Athena, facendo delle giocate basate molto sugli scontri, impersonando i mitici eroi e riproducendone i vari colpi.

Durante quell'anno quindi sperimentai davvero il "gioco intelligente", e lo feci sicuramente con l'entusiasmo di un bambino, ma anche con consapevolezza di partecipare prima di tutto ad un gruppo con l'intento di divertirsi, di rispettarsi e di vivere assieme un'avventura che avremmo reso memorabile.

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